TRIBUNALE DI MACERATA 
 
    Il Tribunale penale di Macerata, ufficio GIP - GUP, nella persona
del dott. Giovanni M. Manzoni. 
    Premesso che in data 28 agosto  2017  il  PM  chiedeva  emettersi
decreto penale nei confronti di M. M., per il reato di  cui  all'art.
186 Cds, con pena di mesi 6 di arresto ed € 1.500 di ammenda, ridotta
per il rito a mesi 3 di arresto ed € 750  di  ammenda  e  conversione
della pena in complessivi € 7.500 di ammenda, con conversione di ogni
giorno di arresto in € 75 di ammenda. 
    Tanto premesso questo giudice, 
 
                               Osserva 
 
l'art. 459 del codice di procedura penale prevede che: 
        in caso di emissione di decreto penale,  ove  venga  irrogata
una pena pecuniaria, anche in  sostituzione  di  pena  detentiva,  il
valore giornaliero di conversione della pena detentiva in  pecuniaria
vari tra la somma di € 75 e triplo di tale somma (tenuto conto  delle
condizioni economiche dell'imputato e del nucleo familiare); 
        il pubblico ministero possa chiedere applicazione della  pena
diminuita sino alla meta' rispetto al minimo edittale. 
    Ritiene  questo  giudice  che  tale  previsione  possa  porsi  in
contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Se, infatti, la Corte costituzionale ha ripetutamente evidenziato
la ammissibilita' di sconti di pena premiali in relazione alla scelta
da parte dell'imputato  di  riti  alternativi  (o,  per  quanto  oggi
occupa, per la sua opposizione alla scelta  effettuata  dal  pubblico
ministero di procedere con decreto penale e alla emissione di decreto
penale da parte del giudice), ritiene questo giudice  che  il  quadro
delineato dalla  nuova  normativa  sia  inammissibilmente  eccentrico
rispetto alle ordinarie dinamiche processuali. 
    L'art. 459, infatti, non  solo  prevede  la  possibilita'  di  un
elevato sconto di pena (la meta' rispetto  al  limite  edittale)  ma,
altresi', un tasso di conversione dalla pena detentiva in  pecuniaria
del tutto anomala rispetto al criterio di cui all'art.  53  legge  n.
689/81 - 250  euro  pro  die,  moltiplicabili  sino  a  10  volte  in
relazione alle condizioni economiche del reo. 
    La conversione della pena  detentiva  in  pecuniaria  non  viene,
infatti, effettuata secondo un tasso fisso di un giorno  =  250  euro
come prevede l'art. 135  del  codice  penale  o  con  quella  di  cui
all'art. 53 legge n. 689/81 (un  giorno  =  250-2500  euro),  ma  con
conversione di un giorno di pena detentiva in somma non  inferiore  a
75 euro e non superiore a 225 euro con parametrazione all'interno  di
tale range  determinata  tenuto  conto  «della  condizione  economica
complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare»  (criterio  che
riecheggia quello previsto dall'art. 133-bis del codice penale  -  in
relazione   pero'   al   differente   caso    della    determinazione
dell'ammontare della multa o dell'ammenda -  e  richiama  chiaramente
quello  di  cui  all'art.  53  legge  n.  689/81   «per   determinare
l'ammontare della pena pecuniaria  il  giudice  individua  il  valore
giornaliero  al  quale  puo'  essere  assoggettato  l'imputato  e  lo
moltiplica  per  giorni  di  pena  detentiva.  Nella   determinazione
dell'ammontare di cui al precedente periodo il  giudice  tiene  conto
della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo
familiare. Il valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma
indicata dall'articolo 135 del codice penale e non puo'  superare  di
dieci volte tale ammontare»). 
    Alla luce di quanto sopra ritiene questo giudice che  la  attuale
disciplina prevista dall'art. 459 del codice di procedura penale  sia
sospetta di violare art. 3 della Costituzione in  quanto,  se  appare
pienamente condivisibile che  la  sanzione  pecuniaria  possa  essere
modulata in relazione alle condizioni economiche del reo, al fine  di
garantire  analoga  afflittivita'  della  stessa  in  relazione  alla
differente  situazione  patrimoniale  dei  singoli   imputati,   tale
modulazione non puo' risentire della  scelta  del  rito  in  modo  da
stravolgere  totalmente  il  trattamento  sanzionatorio  in  caso  di
emissione di decreto penale, con pena del tutto differente rispetto a
quella che sarebbe applicabile in caso di rito ordinario. 
    Si consideri infatti che: 
        nel caso di emissione di decreto penale di condanna l'importo
pecuniario varia entro un range edittale  base  con  possibilita'  di
moltiplicarlo per tre (75-225), mentre in tutti i  restanti  casi  di
conversione di pena detentiva in pecuniaria l'importo  pecuniario  e'
di importo comunque superiore e con possibilita' di moltiplicarlo per
10 (250 - 2500 euro  con  differenza  che  non  trova  origine  nella
diversa natura dei fatti oggetto di giudizio. 
    Il PM, pertanto, ha la  possibilita',  con  la  scelta  del  rito
(rimessa alla sua discrezionalita'  la  scelta  se  chiedere  decreto
penale  o  procedere  diversamente),  di  determinare  il  tasso   di
conversione della pena sostanziale finale irroganda, quantomeno sotto
il profilo di  precludere  all'imputato  di  fruire  del  particolare
favore di cui  all'art.  459  del  codice  di  procedura  penale  non
chiedendo la emissione di decreto penale; 
        nel caso di opposizione a decreto penale la  pena  pecuniaria
che fosse irrogata in caso di  condanna  in  sostituzione  di  quella
detentiva avrebbe tasso di conversione da 250 a 25.000 euro pro  die,
con pena che potrebbe essere  moltissime  volte  quella  portata  dal
decreto penale. 
    Per un soggetto non abbiente che  abbia  commesso  un  reato  con
minimo edittale di 30 giorni, se si  ipotizza  emissione  di  decreto
penale  con  pena  dimezzata  rispetto  al  minimo  edittale  e   con
conversione di 75 euro al giorno la pena sara' pari ad  €  1.125  (15
giorni × 75 euro); nel caso di condanna a pena convertita  a  seguito
di dibattimento la pena minima sarebbe di 7.500 euro (30 giorni × 250
euro). 
    Per un soggetto molto  abbiente  la  differenza  e'  ancora  piu'
macroscopica. Con un reato con minimo edittale di  30  giorni  se  si
ipotizza emissione di decreto penale con pena dimezzata  rispetto  al
minimo edittale e con conversione di  225  euro  al  giorno  la  pena
minima con decreto penale sarebbe di € 3.375 (15 giorni × 225  euro);
nel caso di condanna a pena convertita a seguito di  dibattimento  la
pena sarebbe di 75.000 euro (30×250×10) !! 
    Nel caso di specie la pena irroganda con  conversione  ai  minimi
edittali a e' pari ad € 7.500 (90 × 75  +  750)  mentre  in  caso  di
opposizione  condanna  dibattimentale   con   conversione   in   pena
pecuniaria la stessa sarebbe pari a non meno di € 46.500 (180 × 250 +
1500). 
    Conseguenze che appaiono a questo giudice del tutto incompatibile
con il criterio di eguaglianza e ragionevolezza, atteso che se ben la
scelta di rito premiale o la acquiescenza  allo  stesso  ben  possono
comportare  una  significativa  riduzione  della  pena,   una   tanto
macroscopica differenza appare non appare  razionalmente  correlabile
alla mera non opposizione dell'imputato  alla  pronunzia  emessa  nei
suoi confronti. 
    Da notare poi che un simile effetto premiale non e' previsto  per
nessun altro rito alternativo, nemmeno per il patteggiamento ove pure
l'imputato di fatto rinunzia a difendersi, solo concordando  la  pena
con il pubblico ministero peraltro con riduzione massima  di  1/3,  a
fronte della possibilita' di riduzione fino a 1/2 prevista in caso di
decreto penale). 
    Non dirimente appare poi la  considerazione  che  il  giudice  e'
sempre chiamato ad effettuare un giudizio di  congruita'  della  pena
emessa in relazione al fatto oggetto del suo decidere. 
    Il giudice, infatti, dovra' valutare  la  congruita'  della  pena
originaria determinata dal pubblico  ministero  e  la  compatibilita'
della conversione della pena detentiva in pecuniaria con le finalita'
deterrenti e rieducative della pena ma, effettuate positivamente tali
valutazioni, il tasso di  conversione  e'  prefissato  per  legge  ed
appare  parametrato  alle  condizioni  economiche  del  reo,  con  le
conseguenze di cui sopra. 
    Quanto,  poi,  alla  applicazione  delle  circostanze  attenuanti
generiche o alla parametrazione  della  pena  all'interno  del  range
edittale, si tratta di profili che  valgono  sia  in  relazione  alla
emissione  di  decreto  penale   che   in   relazione   al   giudizio
dibattimentale, talche' non mutano il quadro di totale  eterogeneita'
delle pene possibili in relazione  alle  due  possibilita'  per  come
sopra evidenziato. 
    Appare, poi, del tutto evidente, ad  avviso  di  questo  giudice,
come non possa ritenersi compatibile con il fine rieducativo previsto
dall'art. 27 della Costituzione la irrogazione di una pena pari anche
a meno di 1/20 di quella irroganda all'esito  di  giudizio  ordinario
(v. esempio sopra 3.375 - 75.000 euro). 
    La questione appare poi rilevante nel presente giudizio, inerendo
la pena irroganda all'imputato ed  evidenziato  che  dagli  atti  non
emergono i presupposti  per  rigettare  la  richiesta  del  PM  sotto
diverso profilo.